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Relativamente vicino al Passo della Consuma nascono, a poca distanza uno dall'altro, il Torrente Rufina ed il Vicano di Pelago: il primo affluente del Sieve, il secondo dell'Arno. Il crinale delimitato da questi due torrenti frastagliato da vallette laterali e degrada verso la confluenza dei due fiumi maggiori in dolce pendio interrotto da ampi falsipiani; solo una piccola parte del crinale, soprattutto nelle vicinanze del Sieve, prende la caratteristica della vera e propria scarpata.

A circa met di questo crinale, a cavallo delle linee di spartiacque e quella di quota 500 m. si trova il minuscolo paese di Diacceto, il suo popolo ed il suo territorio parrocchiale.

In origine questa terra si trovava ai margini dei grandi laghi del Mugello, Valdarno e Casentino i quali, svuotati d'acqua e riempiti di sedimenti formarono le relative pianure nei secoli fra il Pleistocene Superiore e l'Olocene; questa zona si innalz decisamente durante le epoche preistoriche del Miocene e del Quaternario Antico. Alcuni ritrovamenti fossili paiono avvalorare l'ipotesi che la nostra zona godesse allora di un clima caldo ed umido quale l'attuale foresta equatoriale con relativa flora e fauna.

Il popolo (antica suddivisione territoriale ecclesiastica tuttora in uso) di S. Lorenzo a Diacceto fa parte della Diocesi di Fiesole e confina con i popoli di: S. Clemente a Pelago, S. Pietro a Ferrano, S. Margherita a Tosina, S. Giusto a Falgano e S. Martino a Bibbiano.

Amministrativamente Diacceto frazione del Comune di Pelago che , a sua volta, parte dell'Unione di Comuni Valdarno e Valdisieve, ex Comunit Montana della Montagna Fiorentina, A.S.L. 10 ex U.S.L. 11 nell'ambito della Provincia di Firenze.

La distanza stradale, con Pelago di poco inferiore ai 3 Km. mentre la distanza con Firenze valutata in 22 Km. col centro e 18 Km. con la periferia della citt.

Quando si nomina Diacceto la maggioranza degli ascoltatori crede che sia una derivazione dell'aggettivo toscano "diaccio" che significa freddo, inteso assai pi frequentemente nel significato del sostantivo "ghiaccio". Considerando il clima invernale, tipico del luogo, queste persone hanno sicuramente una parte di ragione anche se la vera etimologia di questo toponimo un po' pi complessa. Vi sono due tesi diverse per spiegare l'origine di questo nome e le riportiamo entrambe perch ognuna di esse ascoltata ed accettata da grossi studiosi di storia locale.

Questo luogo avrebbe preso il nome dai Conti siciliani De Aceto, che alcuni vorrebbero identificare coi Cattani, che qui apposero la loro residenza nei primi anni del secolo mille; da De Aceto a Diacceto il passo breve per assonanza dovuta a corruzione popolaresca intuibile. Il cammino di detta corruzione cos ripercorso: De Aceto - degli Aceto - di Aceto - Diaceto - Diacceto.

La seconda teoria porta la genesi del toponimo ad un'epoca pi lontana e precisamente a quando i Romani vi impiantarono una minima Stazione di Posta, e forse un luogo di tappa non presidiato, lungo la strada del Casentino e che chiamarono Glacentum, ossia luogo ove trascorrere la notte all'addiaccio. Esso era solo uno spiazzo con una staccionata intorno e con una tettoia in un angolo. Cos appare pura fantasia far discendere il nome romano dalla sensazione di freddo provata a causa del vento o a causa della presenza di alcune grotte dove veniva stivata la neve per poi, in estate, ricavarne barre di ghiaccio. In epoca medievale il nome latino gi deformato in Ghiacceti e cos appare scritto sui documenti ufficiali e nel titolo degli Statuti della Lega. Il nome odierno, appare per la prima volta nel Titolo degli Statuti della Podesteria emessi nei primi anni del XVI secolo.

Lo stemma che accompagna il nome del paese sui documenti quello ancora usato per rappresentare la Comunit di Pelago ed assegnato come arma dei Cattani.

L'arma divisa in due parti sovrapposte. Parte Superiore: campo nero a palo bianco con una torre in pietra al naturale murata di nero, menata alla guelfa ed aperta sul campo. Due stellette in argento ai lati della stessa. La simbologia chiara: la torre rappresenta l'avito Castello diaccetano dei Cattani e le due stellette rappresentano i due maggiori possedimenti di quella famiglia, ossia Diacceto e Pelago. Parte Inferiore: essa totalmente dedicata all'arma dei Cattani. Contiene un leone rampante scambiato nero in oro ed oro in nero unghiato e linguato in rosso e traversato di lambello a quattro denti in rosso e rivolto verso sinistra.

Tale stemma, eseguito su pietra serena e deteriorato dal tempo, si trova anche murato in un angolo esterno dell'attuale Villa Tozzi.

Tratto da Pelle On Line 2000

San Lorenzo a Diacceto

La pieve di Diacceto, inizialmente intitolata a Sant'Ierusalem e successivamente a San Lorenzo, stata quasi completamente rifatta nel secondo dopo guerra ed pertanto difficile poter ricostruire quale dovesse essere l'aspetto originario della chiesa, che documentata gi a partire dall'XI secolo.

Tracce della struttura romanica furono riscoperte durante i restauri del 1950 e fonti documentarie ci forniscono delle parziali descrizioni dell'edificio che, stando a quanto riportato nel 1615, in seguito alla visita del vescovo Baccio Gherardini, sembra si presentasse a due navate e con tre altari all'interno; dell'epoca si conserva solo la piccola tela raffigurante la Madonna del Buon Consiglio, oggi in un tabernacolo sulla parete destra.

San Lorenzo fu a lungo patronato della famiglia Cattani da Diacceto, nel 1784 pass ai Moresi e successivamente al Marchese Leone Grole de Virville che tra il 1858 e il 1872 fece ricostruire la chiesa quasi da nuovo; a ricordo di questa campagna di lavori rimane un'iscrizione del 1872 all'interno sopra il portale.

A questo periodo risalgono inoltre gli affreschi sulla volta di Ferdinando Folchi e Antonio Noferi, ora perduti.

Attualmente collocata in chiesa, entro una nicchia in pietra serena all'altare di sinistra, una terracotta invetriata raffigurante la Madonna in trono col Bambino, i Santi Giovanni Gualberto e Antonio Abate ed Angeli.

L'opera, originariamente in un tabernacolo lungo la strada per la Consuma, fu portata in San Lorenzo nel 1917 dalla Soprintendenza alle Gallerie della Toscana dopo un periodo di restauro presso l'Opificio delle Pietre Dure.

Il bassorilievo di indubbia qualit stilistica e sembra pertanto possibile l'attribuzione a Giovanni della Robbia.

Testo a cura di Deborah Tini


sabato 9 novembre 2024


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